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Channel: Commenti a: Noa, note a margine, di Marina Sozzi
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Di: Giovanni

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Cara Marina,
torno dopo un su questo blog dopo una discreta assenza, dovuta ai miei problemi di salute (già più volte raccontati, che ora per un po’ mi concedono una tregua), ma anche a una certa stanchezza per certi temi che – mi sembrava – continuavano a ripetersi, sotto mutate sembianze.
La vicenda di Noa suscita riflessioni ed amarezza, che meriterebbero silenzio e rispetto o quanto meno discrezione e soprattutto l’astenersi da giudizi frettolosi, mentre la stampa ne ha fatto il solito “casus belli”, arrivando perfino a rimproverare la “fredda” Olanda per lo scarso rilievo dato a questo caso. Una tempesta impietosa e rapace di 3 giorni, dopo il silenzio e così sia.
Trovo anch’io la tua sintesi perfetta, specie laddove dici che su tutto si è sproloquiato, fuorchè sulle cause prime (le molestie e lo stupro) che hanno portato la vita di Noa in un buco nero.
Leggo Repubblica, e anch’io sono stato personalmente molto disturbato dall’intervento di Recalcati (mentre ho apprezzato quello di Michela Marzano che ha messo in campo anche il proprio vissuto), non solo per questa omissione.
L’onnipresente inizia il suo intervento chiedendo “Ci nascondiamo dietro un dito?”, sottintendendo chissà quali nefandezze commesse nel cuore della più civile Europa. Ma lui il dito lo alza dall’alto del suo scranno, eccome!
In merito, ho scritto una lettera alla rubrica di Augias, il quale si è ben guardato dal pubblicarla – non ci si pesta i piedi nella stessa famiglia…. Ho chiesto: Noa ha scelto di lasciarsi morire assistita dalla famiglia e (pare) da medici pietosi. Per suscitare meno “scandalo” sarebbe stato più comodo per tutti un salto dal balcone come per molti – troppi – suoi coetanei, cosa cui ormai si è ormai quasi assuefatti?
Ma sottolineavo anche che Recalcati (che, peraltro non mi risulta si sia mai espresso sul fine-vita), era arrivato ad affermare “Lo scandalo è lo scacco non solo delle terapie, ma del discorso educativo del nostro tempo. (…) No, amare non significa mai lasciare andare la vita verso la morte.”, Sconfessando così, indirettamente, l’operato pietoso e coraggioso innanzitutto dei genitori (dei quali possiamo solo intuire lo strazio) e dei medici, ma anche, da noi, di un Peppino Englaro, di una Mina Welby, di una Valeria Imbrogno.
Si affaccia ancora la netta dicotomia della “vita ad ogni costo” imposta (come, di grazia?) e la richiesta di morire di chi non può o non ce la fa più a vivere. Mentre, come giustamente sottolinei, qui si tratta solo di richiesta – legittima anche in Italia – di sospensione delle cure.
Ho letto, in molti interventi, la netta consapevolezza che né la medicina, né la psicoanalisi, né la psichiatria sono comunque onnipotenti. Sono pienamente d’accordo. Ma mi chiedo: questo, di Recalcati, ormai senza freni inibitori, non è un caso evidente di pretesa onnipotenza? La consapevolezza della possibilità dello scacco, dell’ineluttabilità delle cose, della potenza devastante della violenza e della sofferenza, e – come dici – dell’estrema fragilità e vulnerabilità delle nostre vite, e dellala (precaria) capacità di resistere nella tempesta, dovrebbe essere patrimonio – e la vera forza – di medici, psichiatri e psicoanalisti, e di ogni essere senziente. Purtroppo siamo ancora lontani da questo traguardo.
Non sapevo del tuo nuovo libro. Inutile dire quanto mi riguardi e m’interessi. Lo comprerò e leggerò quanto prima.
Un caro saluto.


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